Sul numero di gennaio di Panorama della Sanità il nuovo articolo del presidente di OSA e di Confcooperative Sanità, Giuseppe Milanese

Avvertenza: le argomentazioni che seguono rappresentano una rivendicazione di orgoglio. Nessuna prosopopea, soltanto la fiera disamina di come la cooperazione sanitaria sia riuscita ad innovare il pianeta Salute italiano.

Parto dalla fine e cioè dal risultato maggiore, figlio di esiti precedenti, i quali avevano entità minore ma significati analogamente rilevanti. Nello scorso dicembre è sorto un progetto pilota sotto l’egida di Federfarma, Promofarma, Confcooperative Sanità e Cap Lazio, per erogare sul territorio servizi di assistenza primaria – campagne di screening, telemedicina, vaccinazioni, assistenza domiciliare – attraverso la sinergia tra le farmacie e la cooperazione medico-sanitaria. Non è una questione da poco. A volerne distillare il senso più radicale, si tratta del primo grande modello di rete tra erogatori professionalizzati di servizi extraospedalieri, soggetti apparentemente eterogenei o che fin qui avevano strutturalmente svolto attività distinte e distanti. La parola chiave è «rete», leit motiv di una longeva campagna vorrei dire anzitutto culturale (il “paradigma delle 5R”), ma infine di programma: per avviare un necessario riordino del sistema di assistenza sociosanitaria sul territorio.

Appare evidente come, almeno nelle intenzioni, sia a portata di mano un autentico salto di qualità nel modo stesso di concepire e quindi realizzare quel segmento di cura delle persone che non necessitano di ricoveri ospedalieri. Proviamo a rendere plastica la sperimentazione accesa a dicembre: la farmacia dei servizi, ovvero il punto di prossimità al cittadino di forse maggiore diffusione, si allea con la vastissima schiera di medici di medicina generale e i professionisti sanitari e sociosanitari del Terzo Settore per mettere a sistema in una logica virtuosa relazioni, servizi, funzionalità sociali. Con l’obiettivo di realizzare una presa in carico integrale immediata, efficace e non onerosa e dunque di alleviare il servizio sanitario nazionale fin qui oberato anche da carichi prestazionali inutili.

Il modello prefigurato da questo progetto non nasce accidentalmente. È certamente frutto della volontà condivisa di soggetti lungimiranti, ma anche di esperienze pregresse che hanno funzionato, più che come tasselli di un puzzle, come gradini di una scala, saliti un passo alla volta, sempre con la passione di arrivare fino in fondo. Mi riferisco anzitutto a Confcooperative Sanità, nata nel 2010 con la volontà di edificare una visione di sistema per la cooperazione sanitaria attraverso il dialogo, che altro non è che la forma liquida della «rete». Quella dialettica tra sodalizi di medici, farmacisti, professionisti sanitari e mutue sanitarie che aderivano a Confcooperative, è poi maturata in confronto e infine in autentica sinergia. In tal modo superando, attraverso la prassi dell’integrazione e l’esercizio della collaborazione, uno storico fenomeno della sanità italiana, che annoverava tanti magari formidabili solisti i quali tuttavia faticavano a organizzare un’orchestra.

Da qui, l’orgoglio. Negli anni Confcooperative Sanità è riuscita a dimostrarsi una vera e propria incubatrice di innovazione, realizzando alcuni esempi di buone prassi, ciascuna funzionale a risolvere inceppi del sistema della Salute o a migliorarlo, spostando un po’ più in su l’asticella degli standard di qualità dei servizi offerti alle fasce di popolazione più bisognose, fragili e anziani tra tutti.

Il primo è stato il laziale Consorzio di Assistenza Primaria (CAP), che ha identificato e liberato il potenziale della farmacia come ganglio territoriale, raccordando medici di medicina generale e specialisti, infermieri, operatori sociosanitari e fisioterapisti ed offrendo ai pazienti prestazioni domiciliari e ambulatoriali. In qualche misura, il primo motore dell’accordo inaugurato a dicembre.

Poi, l’esperienza di Medici Insubria, in cui i medici di medicina generale di 3 cooperative, debitamente organizzati, si sono proposti al territorio come gestori della presa in carico delle cronicità, raggiungendo numeri davvero significativi. Cinquantamila pazienti assistiti, quasi 270mila dosi di vaccino somministrate, centinaia di persone affette da Covid telemonitorate.

Quindi Gemelli a Casa (GAC), partnership al 50% tra la cooperativa OSA Operatori Sanitari Associati e il Policlinico Gemelli, coniata per una presa in carico domiciliare in regime privato, realtà che può essere considerata a tutti gli effetti un’icebreaker per il portato avanguardistico, anche in termini di analisi scientifica dell’evoluzione dello stato di salute dei pazienti.

Oppure il progetto “Empaty”, con cui 3 cooperative (Gnosis, Anthropos e Kaleidos, una del nord, una del centro e una del sud Italia e anche questo è singolare nell’Italia dei cortili) hanno messo a fattor comune le proprie peculiari vicende professionali costituendo una rivoluzionaria piattaforma di telepsichiatria e quindi ricentrando l’utilità della tecnologia verso l’alveo della salute mentale.

Da ultimo, ma non ultimo, il network mutualistico nazionale di Confcooperative, che annovera 3341 cooperative iscritte, oltre 306mila soci, la bellezza di 117 piani sanitari e 1805 strutture convenzionate. Cifre assai importanti in un contesto che, appunto, rende orgogliosi: di aver rispettato il mandato costituzionale e aver reso un servizio al Paese.

Giuseppe Maria Milanese

Scarica e leggi l’articolo in pdf pubblicato su Panorama della Sanità di gennaio 2023

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