Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità tra i relatori della due giorni di Giovinazzo. “Cambiamento necessario, inutile continuare a rappezzare sistema che non dà risposte ai cittadini”

Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità, Giuseppe Milanese, in un intervento appassionato nella seconda giornata di lavori dell’Alzheimer Fest di Giovinazzo, ha illustrato come da una esperienza sul campo lunga quasi 40 anni il paradigma delle 6R individui un modello risolutivo per superare le emergenze e gli stalli in cui versa il sistema sanitario. “Siamo in un momento in cui il cambiamento è necessario. Per la prima volta abbiamo le risorse per farlo, ma vanno impiegate nel giusto modo. Ad esempio, fare le case di comunità, una ogni 50.000 in un paese dove solo 200 comuni sono sopra i 10.000 abitanti non serve a nulla o meglio è una soluzione che può aggiungere un po’ di prossimità. C’è bisogno di scegliere la direzione dove vogliamo andare, non possiamo più rimanere così e rappezzare un sistema che non sta funzionando e non risponde più ai bisogni dei cittadini”, ha detto Milanese, tra i relatori del panel dedicato a “Demenza e Assistenza territoriale: stato dell’arte e prospettive”, a cui ha partecipato un parterre molto qualificato di ospiti tra cui Vito Montanaro, direttore del Dipartimento Salute della Regione Puglia, Nicola Vanacore, dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità ed Eugenio Distaso, neurochirurgo dell’Ospedale di Venere di Bari.

Secondo il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità “ciò che oggi manca nel nostro sistema è reimmaginarlo pensando per chi si produce, cioè per una popolazione anziana. In Italia per ogni ragazzo fino ai 18 anni ci sono 5 over 65 con problemi legati alla cronicità e fragilità. L’Alzheimer è uno stigma che la famiglia affronta con estreme difficoltà in un sistema sanitario non più adeguato. Del resto, già nel 1978, anno in cui fu istituito il nostro SSN, l’OMS ad Alma Ata ci mise in guardia su quale fosse la vera sfida da vincere: quella della cronicità. E allora dobbiamo pensare a costruire un sistema di assistenza primaria, di tutto ciò che è fuori dall’ospedale e che ancora oggi non c’è, e che grazie al Terzo Settore, alle cooperative sociosanitarie, trova una risposta ai bisogni delle persone”. Oggi però non basta più, sostiene ancora Milanese. “Come Confcooperative Sanità abbiamo coniato il paradigma delle 5 R. La prima, una regia unica. Abbiamo 21 sistemi sanitari regionali che declinano le soluzioni in maniera diversa. E la legge 33, la cosiddetta legge delega per gli anziani, va in questa direzione perché afferma che ci deve essere un luogo unico tra il Ministero della Salute e del Lavoro, il CIPA. Questa commissione interparlamentare per l’anziano che sappia gestire la seconda R, le regole. Regole univoche per tutti, chiare, certe, concepibili, comprensibili, che consentano l’uguaglianza in sanità. Poi abbiamo bisogno di capire il ruolo di ciascun attore, la terza R. Cosa fa lo Stato? Programma, eroga e controlla oppure su questi settori programma e controlla i soggetti accreditati? L’accreditamento è una battaglia che abbiamo vinto. Finalmente in questo Paese per l’assistenza domiciliare non si fanno più le gare d’appalto che sono state l’ignominia di questo sistema, perché erano al massimo ribasso e non garantivano neanche il rispetto dei lavoratori. E allora vogliamo controlli, programmazione e controlli serrati su tutti noi che operiamo, perché abbiamo la responsabilità delle persone. Poi c’è la quarta R, le reti territoriali. In ogni quartiere c’è una farmacia. Noi sosteniamo da anni che questa deve diventare il Punto Unico d’Accesso per i servizi sociosanitari, in una rete che unisca i medici di medicina generale, le cooperative sociosanitarie e gli altri attori della salute in grado di soddisfare i bisogni dei cittadini. In questo modo, finalmente l’anziano, con demenza, con Alzheimer o con una malattia cronica, arriva all’assistenza”.

“Servono però percorsi diagnostico terapeutici assistenziali, perché non è possibile accedere alle cure domiciliari, andare in una residenza o in un centro diurno per contingenze. C’è quale famoso continuum assistenziale, che è una parola abusata, che può funzionare solo prevedendo dei livelli di assistenza calibrati sui bisogni. La quinta R è il rigore nella misurazione dei soggetti accreditati, cioè quanto do in termine di outcome e assistenza”, ha aggiunto Milanese.

C’è poi la sesta R, rappresentata dalle risorse umane. “Se non usiamo le risorse finanziarie del PNRR per formare un contingente di OSS specializzati sulla domiciliare non arriveremo mai a prenderci cura di un milione di pazienti nelle loro case. In questo Paese oggi assistiamo 300.000 persone in ADI per 12 ore l’anno. Se vogliamo arrivare a quanto previsto dal PNRR, cioè oltre un milione di persone per 20 ore mese, il benchmark internazionale previsto per mantenere a casa un anziano, servono 100.000 operatori. La proposta che Confcooperative Sanità avanza da tempo è quella di formare – e si può fare in un anno –gli OSS con formazione complementare, una figura che potrebbe collaborare a domicilio con gli infermieri, sotto la loro supervisione, dando dignità e lavoro anche ai giovani”.

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