Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità, Giuseppe Milanese, interviene sulle pagine del nuovo numero di settembre di Panorama della Sanità: “All’indomani della pandemia, ci troviamo a dover fare i conti con un mondo ribaltato. È L’occasione per attribuire nuovo valore alle parole, alle relazioni, al campo del lavoro, ai servizi alle persone ed alle comunità. La logica mutualistica come traccia portante di un sistema economico da cambiare alle radici”.
Di seguito la versione integrale dell’articolo.
«Siamo giovani professionisti squattrinati, ci suggerisca una formula per risparmiare il più possibile». «La soluzione più economica è quella di aprire una cooperativa». Fu questo, più o meno, il dialogo che intercorse tra noi – medici e psicologi alle primissime armi – e un paziente notaio capitolino quando decidemmo di darci una qualsiasi forma d’impresa per assistere a casa i malati di AIDS. La cooperazione, evidentemente, non fu una scelta di vita ma una ineludibile necessità materiale.
Imparammo la lezione della cooperazione poi, con la pratica del lavoro comune, attraverso le scelte quotidiane, costruendo mattone dopo mattone una comunità via via sempre più larga. Fino ad essere convinti che quel bivio originario ci aveva condotti sulla strada giusta.
Oggi ribadiamo la nostra convinzione con nuove ragioni e, se possibile, un vigore ancora maggiore. Poche settimane addietro è ricorso il centenario dalla nascita di Edgar Morin, uno dei più autorevoli pensatori del Novecento, e non mi è sembrato casuale – «nulla accade per caso» è il refrain con cui tormento i miei collaboratori – che coincidesse con il pieno di una crisi planetaria senza precedenti. Morin è stata la voce intellettuale che forse più di ogni altra ha sollecitato alla costruzione di reti di solidarietà, fraternità e pensiero creativo. In questa terna di elementi valoriali, una volta consapevole, io ho inquadrato il senso stesso della cooperazione e, in prima battuta, della mutualità, che è la base fondativa della cooperazione stessa.
All’indomani della pandemia – conclusione nient’affatto raggiunta ma data per approssimazione – e cioè acclarate le devastanti conseguenze della tempesta perfetta provocata dal Covid-19, ci troviamo a dover fare i conti con un mondo ribaltato, solo apparentemente identico al precedente sé seppur disorientato o attonito, e tuttavia completamente diverso dal sé di ieri. Ignorare lo iato nella linea del tempo o anche sottovalutarlo ci marchierebbe con lo stigma della stoltezza. Davanti a inedite condizioni, dobbiamo rispondere con soluzioni inedite. O mai applicate fino in fondo. Ecco, io credo che questa sia l’occasione di attribuire un nuovo valore alle parole, alle relazioni, al campo del lavoro, ai servizi alle persone ed alle comunità. Non si tratta di un esercizio di stile o di ragionamenti sui massimi sistemi, è sufficiente guardare all’anno appena trascorso e distillarne gli esempi resilienti. Sono provenuti, mi azzardo a dire, in maggior parte dalle più avanzate pratiche di cooperazione. Sono pronto ad argomentarlo, confortato da recenti dati non equivocabili. Risale ai primi di agosto la pubblicazione dell’osservatorio realizzato da Ipsos per cui «dopo la pandemia gli italiani desiderano più mutualismo». Secondo tale ricerca, il Covid-19, le emergenze ambientali, le disuguaglianze in aumento hanno risvegliato nel Paese la consapevolezza che serva un nuovo modello di sviluppo. La ricerca del benessere sembrerebbe essere mutata di paradigma: dall’edonismo di matrice (iper)liberista, all’emersione di dimensioni come «il cooperare tra le persone, il condividere esperienze e servizi, il sostegno reciproco, la compartecipazione a progetti comunitari, la ricerca di armonia tra vita quotidiana e lavoro, tra economia e natura, tra io e gli altri». Parole che, mi sia perdonato l’ardire, potrebbero tranquillamente essere state pronunciate da Morin. Tale orientamento è consolidato dalle percentuali: le imprese cooperative come soggetti benefici per l’economia italiana (51%), per le persone (35%), per lo stesso mercato (27%). Di più: l’indagine chiarisce come per i due terzi dell’opinione pubblica le imprese di capitale debbano darsi «uno scopo», ma anche che nel mercato debba essere presente un numero crescente di imprese dallo scopo mutualistico. La logica mutualistica come traccia portante di un sistema economico da cambiare alle radici.
Di pari passo il Rapporto Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) 2021, che dedica un intero capitolo su 8 agli “Scenari evolutivi del Terzo Settore”, evidenziando senza giri di parole come il non profit abbia rivestito un ruolo cruciale durante la crisi sanitaria causata dalla pandemia: «Tale emergenza (…) ha stimolato significativamente la vocazione solidaristica e la finalità civica che anima le istituzioni non profit. (…) Le organizzazioni solidaristiche del nostro Paese hanno dato prova di capacità di mobilitazione e di messa in campo di interventi rilevanti per il contenimento degli impatti della pandemia, specie per le popolazioni più vulnerabili».
Noi che abbiamo lavorato senza sosta nelle trincee più calde, anche e soprattutto nei momenti più drammatici degli scorsi mesi, lo sapevamo già. Sapevamo di aver esercitato con orgoglio ed onore la funzione sussidiaria consegnataci dalla Carta Costituzionale. Sapevamo di aver finanche coniato nuovi modelli assistenziali, progettando e programmando i Covid Hotel o somministrando tamponi a domicilio nel cuore delle zone rosse o scegliendo di chiudere i nostri assistenti delle RSA in «bolle di salute» o distribuendo a domicilio farmaci e derrate alimentari di prima necessità ad anziani e bisognosi. Noi sapevamo già di aver adeguato parole quali cooperazione, premura, continuità alla fase della Storia che si era improvvisamente dischiusa sotto ai nostri piedi.
Giuseppe Maria Milanese
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