Nico Froio, oggi Responsabile Sanitario OSA del Servizio HIV, 17 anni fa era uno degli infettivologi dell’ospedale Spallanzani incaricati di effettuare i controlli sanitari sui passeggeri in arrivo all’aeroporto di Fiumicino dai voli diretti dalla Cina. Era l’aprile del 2003 e allora il Coronavirus che allarmava la popolazione mondiale era quello della Sars. Dinamiche simili a quanto sta avvenendo in questi giorni con il virus responsabile delle infezioni in Cina e di alcuni casi in Europa. “Era Coronavirus la Sars e lo è anche questo responsabile dell’epidemia a Wuhan. La famiglia è la stessa di quella dei virus che provocano i comuni raffreddori, sono ovviamente diverse le caratteristiche”, sottolinea Froio che ricorda bene l’esperienza fatta in quel gruppo di medici delle 4 unità dello Spallanzani, catapultati al “Leonardo Da Vinci” insieme agli uomini della Protezione Civile. “Mai avrei pensato di fare il medico in aeroporto e invece nella mia vita mi è capitato anche questo”, spiega con un sorriso l’attuale Responsabile Sanitario OSA del Servizio HIV, che già all’epoca collaborava con la Cooperativa nell'assistenza domiciliare alle persone malate di AIDS. “Possiamo dire certamente che l’esperienza di 17 anni fa sta aiutando molto la struttura e l’organizzazione della prevenzione. Il controllo di un’infezione a diffusione respiratoria va effettuato impedendo nuovi casi e circoscrivendo il focolaio, evitando che dal focolaio si vada oltre. Quando parliamo di via respiratoria significa che sono mezzi di trasmissione dell’infezione gli starnuti e i colpi di tosse. Altra cosa è ipotizzare che il contagio possa avvenire passando davanti all’albergo dove hanno alloggiato i due turisti cinesi arrivati a Roma, come ho letto sui social o visto in alcune trasmissioni televisive”.
NO FAKE NEWS. Come spesso avviene in questi casi, insieme alle comunicazioni e alle indicazioni del Ministero della Salute e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, si scatenano, soprattutto in Rete, fake news e informazioni incontrollate e non verificate che non fanno altro che generare allarmismi e isterie immotivate. È allora opportuno fare chiarezza e dare le corrette informazioni. “L’allarmismo nasce dalla scarsa conoscenza. Dobbiamo sgombrare il campo da certi comportamenti irrazionali come quello di indossare la mascherina chirurgica in metropolitana che è uno strumento totalmente differente da quella per l’isolamento respiratorio utilizzata, ad esempio, dagli operatori sanitari durante le verifiche di potenziali casi. È un comportamento che non ha alcun senso dal punto di vista della prevenzione così come non ha senso isolare i cittadini cinesi o gli stranieri in genere perché li si ritiene come gli untori della peste manzoniana”, afferma. “I dati ci dicono che in Italia abbiamo avuto solo due casi, per così dire, di importazione, cioè di persone che non sono state infettate da altre provenienti dalla Cina ma che sono arrivate nel nostro Paese con il virus già in incubazione. Nonostante il Coronavirus cinese sia circolato in Italia non abbiamo avuto casi secondari: questo significa che la contagiosità per quanto importante è comunque limitata”.
BASSA MORTALITÀ. Mentre in Cina i casi continuano ad aumentare, nel resto del mondo i numeri restano bassi. Basta in effetti monitorare la mappa per la diffusione del virus realizzata dagli studiosi della Johns Hopkins University, che aggrega i dati dei contagi su scala mondiale in tempo reale, per rendersene conto. Anche la mortalità è un indice che può contribuire a stemperare la tensione. “Ad oggi, in Cina, sono morte 427 persone su 20.698 casi accertati. Questo significa che c’è una mortalità stimata del 2,3%. La Sars aveva una mortalità pari al 9% e una capacità di contagio molto più elevata. In sostanza, parliamo di un’epidemia finora circoscritta, con una diffusione molto limitata in altre parti del mondo. Se invece parliamo di virus con cui conviviamo normalmente, come quelli influenzali, ogni anno in Europa, su 30-40 milioni di casi, i decessi per cause attribuibili all’influenza stagionale o per complicanze correlate sono 40mila. Ancora oggi non viene data la giusta importanza al vaccino antinfluenzale che può proteggere i soggetti più a rischio dalle complicanze dell’influenza stagionale. In OSA, ad esempio, da tre anni abbiamo avviato una campagna vaccinale dando per primi l’esempio. Ci siamo vaccinati e lo abbiamo proposto ai nostri operatori ricevendo un’adesione positiva. Il vaccino antinfluenzale, che ovviamente non ha alcuna efficacia nel caso del Coronavirus, aiuta a discriminare tra le due infezioni dal punto di vista epidemiologico. Del resto, ci troviamo nel picco stagionale dell’influenza, con una popolazione particolarmente preoccupata e con sintomi simili tra il Coronavirus cinese e la normale influenza. Questo può comportare un collasso dei Pronto Soccorso, certamente evitabile con più vaccinazioni e quindi meno casi di influenza”.
LA PREVENZIONE. In termini di prevenzione della diffusione del virus, restano validi strumenti le normali profilassi da seguire per contrastare l’insorgere dell’influenza stagionale. “Innanzitutto, è bene ripararsi con la mano o il gomito quando si starnutisce e si tossisce, utilizzare fazzoletti usa e getta e, soprattutto, lavarsi bene e spesso le mani. Può sembrare una sciocchezza e invece le mani possono diventare un veicolo di trasmissione. Si tratta di poche misure che contribuiscono a ridurre la possibilità di passaggio del virus”.