In Italia gli ottantenni sono più che raddoppiati in meno di 30 anni, passando da 1 milione 955 mila a 4 milioni 207 mila, vale a dire il 7% della popolazione residente. È la fotografia che emerge dal confronto tra i dati Istat del Censimento del 1991 e quelli pubblicati il 6 settembre e aggiornati al primo gennaio 2018.
 

L'Istat segnala il forte aumento della popolazione anziana (65 anni e più) in termini sia assoluti (da 8,7 milioni a 13,6 milioni) sia percentuali rispetto al totale di popolazione (dal 15,3% a 22,6%). Nello stesso periodo, diminuisce di quasi un milione di unità la popolazione con meno di 15 anni (da 15,9% a 13,4% del totale della popolazione) e di oltre 300 mila unità quella di 15-64 anni (da 68,8% a 64,1%). L'età media, che alla data del Censimento 1991 era al di sotto dei 40 anni, nel 2018 supera i 45 anni. Al primo gennaio 2018 la popolazione residente in Italia era pari a 60 milioni 484 mila unità. I centenari superano le 15mila e 500 unità. Sono più di mille gli individui che hanno superato i 105 anni e 20 i supercentenari (110 anni e più), indica l'Istat nel report sulla popolazione residente.
 

Un fenomeno, quello del progressivo invecchiamento della popolazione e del conseguente problema legato alla cronicità, di cui il il presidente della Cooperativa OSA e di Confcooperative Sanità, Giuseppe Milanese, ha parlato in un’intervista rilasciata all’Agenzia di Stampa Dire.
 

 

L’intervista

Il problema dell’invecchiamento della popolazione e delle relative malattie croniche è una emergenza. Quali secondo lei le azioni che dovrebbero essere messe in campo per arginare il problema?

“Quella dell’invecchiamento della popolazione non è una emergenza, poiché questi dati li conosciamo da anni. La vera emergenza è che si è fatto ancora troppo poco per fronteggiarla. Ora che la cronicità, le disabilità e le situazioni di non autosufficienza dilagano, il nostro sistema si trova privo di una rete integrata e sostenibile di servizi nel territorio. Per invertire la rotta, e anche questo lo diciamo da anni, è necessario un ripensamento del sistema che faccia dell’assistenza primaria il fulcro del SSN. Ciò significa che il nostro deve diventare un modello a trazione territoriale, in grado di fornire assistenza e prendere in carico i pazienti innanzitutto presso il domicilio e nella comunità in cui vivono”.
 

Emerge che la quota degli ultracentenari è localizzata soprattutto al Nord. È un caso o è strettamente proporzionale alla qualità della vita e ai servizi sanitari che vengono erogati in quelle regioni?

“Accanto a fattori di natura genetica e connessi allo stile di vita, esistono determinanti sociali della salute che incidono pesantemente sulla longevità. In questo senso il gradiente nell’aspettativa di vita Nord-Sud restituisce fedelmente il confine tra chi possiede risorse economiche da investire, in caso di necessità, nella propria salute e chi invece, queste risorse, non le ha. Non a caso alcune ricerche mostrano come tale relazione si possa riscontrare anche tra i residenti nei quartieri benestanti e in quelli popolari di una stessa città del Nord. Esiste quindi un problema di sperequazione che si traduce in un’inaccettabile disuguaglianza nella salute, di cui la longevità è una cartina tornasole”.
 

 

Spesso abbiamo riflettuto sul fatto che l’Italia è un Paese a due velocità. Per invertire la rotta che ricetta adotterebbe?

“Purtroppo in sanità questa doppia velocità è stata drammaticamente acuita dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Ci troviamo così di fronte a un sistema, sulla carta nazionale e universalistico, ma che è in realtà frantumato in ventuno Servizi Sanitari Regionali autonomi, caratterizzati da modelli assistenziali, regole di ingaggio, standard qualitativi e quantitativi dei servizi del tutto difformi l’uno dall’altro. Questa disomogeneità, purtroppo, si traduce troppo spesso in disparità per i cittadini nell’accesso ai servizi. Per questo, come Confcooperative Sanità, sono anni che chiediamo una regia unica per il SSN. Ciò non significa tornare a vecchie forme di dirigismo, bensì varare un modello di governance che garantisca i medesimi diritti e gli stessi livelli quali-quantitativi dei servizi a tutti i cittadini, nonché regole omogenee e condivise per gli operatori”.

Share This