“Abbiamo rilevato che l’isolamento imposto dalle misure di distanziamento sociale ha praticamente impedito a molte donne di rivolgersi al nostro servizio. Durante il lockdown, cioè il periodo marzo-giugno 2020, non abbiamo ricevuto nessuna nuova richiesta di assistenza e questo purtroppo non significa che gli episodi di violenza contro le donne siano scomparsi qui a Frosinone, tutt’altro.”
A parlare è l’avvocata Sonia Sirizzotti, consulente legale dello Spazio Ascolto Antiviolenza, gestito da OSA a Frosinone. Con il centro ancora chiuso per le norme di prevenzione sanitaria, le professioniste della Cooperativa, che su base volontaria prestano assistenza alle donne in difficoltà, hanno continuato a mantenere attiva la struttura, attraverso consulenze telefoniche e un indirizzo di posta elettronica dedicato, incontrando però grande difficoltà a rapportarsi con le proprie assistite.
Numeri in calo sono stati registrati anche dagli operatori in strutture analoghe del capoluogo ciociaro con cui l’équipe OSA si è confrontata per fare il punto sulla situazione nell’imminenza di una prossima riapertura al pubblico della sede di via Aldo Moro 58. “Questo silenzio assordante”, prosegue l’avvocata, “è il segnale chiaro e drammatico che la promiscuità forzata con cui tutti noi abbiamo dovuto fare i conti in questi novanta giorni di pandemia non ha permesso alle vittime di violenza di trovare il momento giusto per lanciare il loro grido di aiuto, segnalando e denunciando gli abusi”.
Le operatrici dello Spazio Ascolto Antiviolenza stanno seguendo complessivamente sei casi di maltrattamenti, avviati prima che scoppiasse l’emergenza COVID-19. Si tratta di episodi drammatici che in questi giorni di ‘reclusione in casa’ hanno avuto quale comune denominatore un pericoloso aumento della conflittualità tra i vari componenti del nucleo familiare. Siano essi genitori o figli, adulti o minori, hanno comunque dimostrato grandi difficoltà a metabolizzare una novità come l’epidemia, che comporta una sospensione della normalità e di ogni consolidata abitudine relazionale.
“Nelle famiglie in cui eravamo riusciti ad avviare un percorso di ricucitura delle dinamiche relazionali compromesse da episodi di violenza”, spiega Sirizzotti,” l’obbligo di restare in casa per non contribuire a diffondere il virus, ha fatto letteralmente esplodere i precari equilibri raggiunti e più di una volta abbiamo dovuto ricorrere al Tribunale per ottenere misure straordinarie di allontanamento da parte del coniuge o di figli particolarmente aggressivi”.