A Potenza una cena sociale per celebrare un traguardo raggiunto con l’impegno e il sacrificio di tutti gli operatori e che oggi è una realtà al fianco di familiari e pazienti con diagnosi oncologiche o patologie senza cura
“Oggi i nostri infermieri rifiutano le offerte di lavoro nel pubblico per continuare a fare l’assistenza domiciliare qui a Potenza. Una soddisfazione immensa che ripaga della fatica fatta durante tutto quest’anno”. Le parole di Antonio Mastroianni, 45enne potentino coordinatore del servizio di cure palliative domiciliari che OSA assicura nella provincia del capoluogo lucano, sarebbero sufficienti per raccontare quanto sia cresciuta l’assistenza di OSA su questo territorio. Il 4 aprile è già un anno. L’inizio è stato duro, durissimo, ma paradossalmente è servito a compattare l’ambiente. E quella di OSA a Potenza è una storia di ritorni, di unità e di spirito di squadra. Merito dell’apporto cruciale di Nicola De Flandre, Responsabile di Area, come organizzatore del lavoro e delle persone, che si è dedicato al servizio insieme a tutta l’équipe della Cooperativa. Professionisti come Antonio, che quello spirito di squadra lo incarna appieno. Lui è tornato a lavorare in OSA dopo un’esperienza in un’altra realtà sanitaria. È tornato a casa sua, la terra dove è nato e cresciuto. Ma casa sua è anche e soprattutto “mamma OSA”.


“Quando mi ha chiamato il Responsabile del Personale e Sviluppo HR, Angelo Caciolo non ho esitato”, confessa, “sono tornato da dove sono partito 23 anni fa prima all’Umberto I di Roma, poi al Sant’Andrea, all’ADI della Roma G e di Matera. Sempre come infermiere coordinatore”. Le cure palliative domiciliari sono una sfida non per tutti. Qui con 28 professionisti tra infermieri, medici palliativisti, psicologi, fisioterapisti, logopedisti e OSS, OSA si prende cura in media di 130 pazienti al mese in tutta la provincia di Potenza. Sono persone con diagnosi oncologiche, affette da patologie terribili per cui non esiste più la cura. “Qui facciamo un servizio tosto”, racconta Antonio, “il burn out per gli operatori è dietro l’angolo, il legame con i familiari degli assistiti è molto forte, perché i loro cari spesso sono alla fine di una malattia dolorosa a cui purtroppo non c’è rimedio”.
Quella delle cure palliative è un’assistenza dove preparazione e inclinazione umana vanno più che mai insieme e dove devi fare squadra per forza, per la natura stessa del servizio. E OSA ci è riuscita, nonostante le difficoltà iniziali. Per ovviare alla mancanza di personale, la Cooperativa ha messo in campo le sue energie migliori e una solidarietà che ci restituisce, per dirne una, l’impegno degli infermieri delle Commesse di Foggia e di Palermo che si sono sobbarcati sacrifici e chilometri pur di aiutare i loro colleghi potentini. “Grazie al lavoro di tutti il servizio ha preso piede e ora siamo stati capaci di creare un gruppo unito, compatto. Siamo arrivati a selezionare gli infermieri non solo preparati da un punto di vista sanitario, ma anche adatti sotto il profilo umano ad affrontare questo tipo di assistenza. Non tutti i professionisti possono farla”. Il servizio di cure palliative domiciliari è oggi un orologio perfetto con una Centrale Operativa attiva dalle 8 alle 20 e una reperibilità telefonica dei medici h24. Con personale formato e anche supportato da 3 psicologi. Una realtà che si sta facendo apprezzare dalle famiglie ma anche dalle ASL e dalle amministrazioni locali.


“Con i medici riusciamo a fare interventi come gli impianti PIC, paracentesi, toracentesi direttamente a casa dei pazienti”, dice Antonio, “in questo modo gli assistiti non devono andare in ospedale sobbarcandosi di spese per mezzi di trasporto e tempi di attesa che generano ulteriore ‘stress’ a persone già purtroppo affette da gravi patologie. Non è scontato che ciò avvenga, questa è la dimostrazione delle professionalità che mettiamo in campo ogni giorno”. Anche per questo la cena sociale del 4 aprile val bene il traguardo da festeggiare in questa storia di partenze e ritorni, di unità e spirito di squadra che si affina e si compatta nell’impegno quotidiano verso i pazienti. È un momento di convivialità e leggerezza, certo, ma anche un modo per ringraziare chi in questi 365 giorni si è dedicato anima e cuore ai più fragili tra i fragili.