Nuovo articolo del presidente Giuseppe Milanese sul mensile Panorama della Sanità
«Su via, caro padre, mettiti al nostro collo; io mi sottoporrò con le spalle né questa fatica mi peserà; Comunque accadranno le cose, uno e comune il pericolo, unica salvezza ci sarà per entrambi» (Eneide, Libro II). Per la prima volta nella storia del Paese sembra realizzarsi l’immagine – affrescata tanto plasticamente da Virgilio – di Enea che, tenendo per mano il figlioletto Ascanio, porta sulle spalle il padre Anchise. E ciò grazie allo spirito e al dettato della Legge delega 33/2023, ormai unanimemente definita come «un nuovo patto tra generazioni».
Proprio questo sollecitava Confcooperative Sanità e, più largamente, la cooperazione raccolta sotto le insegne di Confcooperative: una alleanza dapprima umanitaria che si contrapponesse all’individualismo imperante. Quindi un’azione che, catalizzata dalla tempesta perfetta della pandemia, sanasse un vulnus vecchio di 45 anni.
Ad oggi guardiamo a tale provvedimento con soddisfazione e qualche preoccupazione. Auspichiamo di valutarlo, domani, con definitivo compiacimento, confidando che i timori possano dissiparsi con opportuni e tempestivi interventi.
Perché possiamo dirci soddisfatti? Anzitutto perché l’intervento normativo non è compassionevole ma orgoglioso, non offre soltanto assistenza ma opzioni di salute, non propone interventi tampone ma risposte integrate. In soldoni: programma una strategia per dotare il Paese di un sistema di welfare sul piano sociale, sanitario e sociosanitario, risultato che mette l’Italia alla pari con il resto d’Europa.
Poi perché identifica e riconosce il ruolo del Terzo Settore, ovvero lo individua come soggetto attivo per una serie di funzioni precise e cruciali. È un traguardo che non era scontato fino a ieri, nonostante la filiera sociosanitaria di Confcooperative conti oltre 6mila e 400 imprese attive nell’area sanitaria e sociale, oltre 270mila addetti a fronte dei 400mila del Servizio Sanitario Nazionale, oltre 14 miliardi di fatturato aggregato, oltre 4milioni e mezzo di persone assistite.
Ma c’è di più. Il provvedimento recepisce di fatto integralmente il nostro cosiddetto «paradigma delle 5R», individuando una regia nazionale unitaria con il CIPA (Comitato Interministeriale in capo al quale si assommeranno le funzioni di programmazione, coordinamento e monitoraggio delle politiche in favore della popolazione anziana), prevedendo regole omogenee per tutto il territorio nazionale, allestendo il continuum assistenziale che garantirà la totale presa in carico della persona fragile. In questo sistema coerente, piena centralità è riconosciuta all’istituto dell’accreditamento e al ruolo dei soggetti erogatori accreditati, come da noi sollecitato per oltre 3 lustri. Proprio in questa ottica, noi abbiamo già sperimentato negli anni un modello di continuum assistenziale funzionante, semplicemente puntando sulla cooperazione tra professionisti sanitari, mettendo a sistema le cooperative di medici di medicina generale, le farmacie dei servizi, le cooperative sociali e quelle con specializzazione sanitaria, così costituendo una rete attorno al paziente a cui viene proposta una offerta integrata di salute. Una rete territoriale così strutturata potrà consentire, dati alla mano, un risparmio sul fronte ospedaliero (ricoveri impropri, accessi impropri in Pronto soccorso, riduzione delle degenze) della cifra monstre di oltre 4,5 miliardi di euro.
L’assistenza domiciliare configurata dalla legge è convincente; ma, si sa, la strada che dall’intenzione porta alla realtà è disseminata di ostacoli. Il primo è certamente il fattore tempo: la Missione 6 del PNRR può essere portata a compimento soltanto se si accelera con convinzione, puntando all’obiettivo di raggiungere nel 2025 la soglia di un milione e 450mila utenti assistiti con un investimento che sfiorerà gli 1,6 miliardi di euro. Poi bisognerà risolvere la questione della mancanza di personale specializzato, investendo sull’Operatore Sanitario Specializzato con Formazione Complementare, il cui esito potrà generare un rilevante indotto occupazionale. Andranno quindi stabiliti i requisiti organizzativi per gli erogatori di cure domiciliari secondo un criterio che correli l’effettiva capacità produttiva dell’erogatore al bacino di utenti (e quindi al budget) assegnato dal distretto. Sempre nell’ottica di una razionalizzazione, sarà necessario provvedere ad elaborare i Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) per gestire sul territorio le principali classi di patologie croniche. Sempre nel breve lasso di tempo, si dovrà potenziare la rete di prossimità, contemperando la presenza di un enorme numero (l’85%) di municipi con meno di 10mila abitanti non coperti singolarmente da una Casa di Comunità e l’esigenza di garantire ai pazienti una prossimità reale: una soluzione agevolmente praticabile potrebbe rinvenirsi nella realizzazione di corner nelle farmacie di servizi collegati ai medici di medicina generale e ai Distretti sanitari. Infine, occorrerà potenziare i percorsi tecnologici per la misurazione degli esiti o outcome di salute.
La sfida dei prossimi mesi è tutta qui, in questi obiettivi concreti e di non complessa risoluzione, è tutta sul crinale che segna il confine tra la vetta e lo strapiombo.
Giuseppe Maria Milanese