Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità intervistato da Avvenire: promuovere campagne di formazione, puntando sui giovani che non lavorano e non studiano
“Serve personale da specializzare velocemente per l’assistenza domiciliare, perché non solo già mancano infermieri e medici, ma le stesse richieste del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) puntano su luoghi, come le Case di comunità, ma non si sa dove si prenderà il personale”. Lo afferma Giuseppe Milanese, presidente di OSA e di Confcooperative Sanità, in un colloquio con il quotidiano Avvenire. “Il nodo è la cattiva programmazione nei servizi che è stata fatta negli ultimi anni in termini di risorse umane. Per formare un infermiere o un medico ci vogliono anni. E oggi siamo in sofferenza”.
Anche le richieste del Pnrr prevedono che si raggiunga con l’assistenza domiciliare il 10% della popolazione over65 “ma si parte dall’attuale 2,87%”. Analogamente, continua Milanese, “vedo difficile raggiungere l’obiettivo di 20 ore al mese di assistenza domiciliare a ciascuna persona presa in carico, quando la media attuale è ferma a 12 ore all’anno di assistenza infermieristica. Fatti un po’ di calcoli, servirebbero oltre 100mila operatori, mentre già ora ci mancano infermieri e medici”.
Da qui la proposta di valorizzare la figura dell’operatore socio sanitario specializzato, già prevista dall’ordinamento nazionale dal 2003. “Viene formato in un anno – spiega ancora il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità – comprendendo parte teorica e parte pratica. È una figura che può supportare infermieri e medici nelle attività sanitarie di prossimità. Occorre promuovere campagne di formazione, puntando a quel serbatoio di giovani che non lavorano e non studiano”.
Qualcosa è già stato fatto, ma solo sporadicamente, a livello locale: “Lombardia e Veneto hanno fatto corsi in questa direzione – riferisce Milanese – ma occorre un’iniziativa più ampia, che definisca un profilo valido su tutto il territorio nazionale. Va anche sottolineato che assistere a domicilio non è solo acquisire una competenza tecnica, ma tocca anche l’aspetto vocazionale: si entra nelle case per assistere persone, dal bambino all’anziano in sofferenza”.
Milanese spiega anche che la proposta di Confcooperative Sanità non mira a creare attrito con le categorie professionali: “Abbiamo aperto un tavolo di confronto con la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo) e con la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) per spiegare che si parla di figure che non sostituiscono le loro specificità, ma sarebbero di supporto per le terapie a domicilio, dall’igiene ai pasti, dai decubiti al controllo dell’assunzione delle terapie. Non sono previste terapie iniettive o prescrizioni di farmaci”.
Fonte: quotidiano Avvenire, edizione dell’11 ottobre 2022