Il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità sulle pagine del mensile Panorama della Sanità: usate bene i soldi del PNRR, correggendo tempestivamente la rotta da altri impostata, meno soldi sul mattone, più investimenti sulla formazione del personale
Senza volersi cimentare con l’arte divinatoria degli aruspici, è lecito provare fin da ora a comprendere in quale direzione si muoverà da qui a poco la sanità italiana.
I primi segnali, magari timidi, sembrerebbero incoraggianti. Nei giorni dell’insediamento del nuovo Governo, la Presidente del Consiglio Meloni, in fase di replica al Senato, ha speso parole chiare: «Dobbiamo imparare dalla crisi pandemica cosa non ha funzionato nel migliore dei modi per correggerla secondo alcune linee d’azione. Credo che una di quelle linee d’azione debba essere la prossimità; riportare la sanità verso i territori; valorizzare il ruolo dei medici di medicina generale e coinvolgere il sistema delle farmacie nell’erogazione di alcune prestazioni, perché sono fra i primi presidi sul territorio. (…) C’è il tema dell’incentivo alla telemedicina e alle cure domiciliari, dei presidi territoriali nelle aree interne. (…) Bisogna migliorare la comunicazione tra ospedale e territorio. (…) C’è poi, ovviamente il tema della qualità, perché il diritto alla salute – come sappiamo – è riconosciuto nella Costituzione e non è accettabile il dilagare del turismo sanitario che abbiamo conosciuto in questi anni nella nostra Nazione. E, quindi, c’è anche l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze tra le Regioni nella erogazione delle prestazioni sanitarie e dei livelli essenziali di assistenza (LEA)».
Nei giorni successivi, la presa di posizione del Ministro della Salute Schillaci è parimenti confortante: «La pandemia ha mostrato la fragilità della medicina territoriale. Su questo abbiamo un dossier aperto e ci stiamo confrontando con gli stakeholder ed è la cosa a cui penso dobbiamo lavorare di più anche per alleggerire la pressione su pronto soccorso e ospedali. (…) In questo senso s’innesta il ragionamento sul PNRR che vincola alcuni fondi ad alcuni progetti come le Case di comunità che però non possono essere scatole vuote, dobbiamo capire cosa invece può essere ottimizzato soprattutto per offrire servizi ai cittadini che possano rispondere ai loro bisogni di salute. I soldi del PNRR vanno usati bene».
Il tema dell’assistenza primaria – in soldoni: quella erogata fuori dall’ospedale – è finalmente all’ordine del giorno degli amministratori della cosa pubblica, letteralmente imposto dalla pandemia da Covid-19. La scorsa legislatura, sempre a voler concedere una interpretazione favorevole, si è conclusa con il lascito potenzialmente prezioso rappresentato dalla Legge Delega sulla non autosufficienza prodotta dal lavoro della Commissione Paglia. Questo documento ha il pregio di inquadrare per la prima volta in forma sistemica il complesso groviglio delle esigenze di cura della popolazione anziana e fragile, di metterci ordine dipanandolo, di restituire una prospettiva immediatamente perseguibile. Nel dettaglio, tra i punti salienti, aggrega in una sola dimensione i bisogni sociali e quelli sanitari, tenuti fin qui inspiegabilmente distinti. Prevede il cosiddetto «continuum» assistenziale, strutturando secondo una logica di reale necessità servizi ad oggi utilizzati in maniera pressoché casuale quali l’ADI, i centri diurni, le RSA, gli hospice. Definisce (finalmente, dopo tanto anfanare!) un progetto di tecnoassistenza congruo rispetto a governance, raccolta e gestione dei dati, accesso degli utenti. Stabilisce una regia unica per l’intero territorio nazionale e regole certe, come da tempo la cooperazione sociosanitaria sollecita a fare.
Volendo appaiare quindi le (buone) intenzioni della nuova classe dirigente al Governo con il dettato della Legge Delega, i giochi sembrerebbero fatti: la riforma di un servizio sanitario pubblico concepito oltre 40 anni addietro su un modello di società e certamente anche di un paziente vecchi appunto oltre 4 decenni sembrerebbe a portata di mano. Ma l’Italia, si sa, è la patria dello spariglio e allora forse sarà il caso di attendere ancora un po’, fiduciosi e guardinghi, pronti a fare la nostra parte. Perché, come ormai acclarato anche dai più longevi detrattori, è impensabile una riorganizzazione del pianeta Salute sceverando l’intervento sulle acuzie, destinato agli ospedali, da quello sulle cronicità, da affrontare sul territorio, senza un solido partenariato tra pubblico e privato mutualistico. L’alleanza tra lo Stato regolatore e la cooperazione sociosanitaria quale soggetto erogatore non è peraltro neppure più una suggestiva figurazione, avendo trovato molteplici occasioni di straordinaria realizzazione nel corso degli anni e da ultimo, encomiabilmente, nelle fasi più drammatiche del Covid.
L’invito al Governo è presto fatto, proprio prendendo le mosse dall’affermazione più significativa pronunciata dal Ministro Schillaci: usate bene i soldi del PNRR, correggendo tempestivamente la rotta da altri impostata, meno soldi sul mattone (ospedali e case di comunità), più investimenti sulla formazione del personale, vera carenza, autentico punctum dolens della nostra sanità. Senza perdere ulteriore tempo, era già tardi ieri.
Giuseppe Maria Milanese
Panorama della Sanità – dicembre 2022