Il presidente Milanese interviene sul dibattito della digitalizzazione sul nuovo numero di Panorama della Sanità: “Per dare vita ad un modello di ‘sanità connessa’ occorre ragionare in termini di riforma complessiva del sistema”
Sulle pagine del nuovo numero di Panorama della Sanità, mensile di analisi dei sistemi di welfare, il presidente di OSA e di Confcooperative Sanità, Giuseppe Milanese, è intervenuto nel dibattito relativo alla digitalizzazione in sanità. Un tema che la pandemia ha messo ulteriormente in luce, indicando la telemedicina quale panacea di tutti i mali del nostro SSN. Secondo Milanese, però, “per dare vita ad un modello di «sanità connessa» occorre ragionare in termini di riforma complessiva del sistema”.
Di seguito l’articolo completo pubblicato su Panorama della Sanità
Non sarà un caso – nulla è per caso – se da qualche tempo, senza una ragione apparente, mi rimbalza tra le meningi un’espressione dell’infanzia: «sanfasò». Ho scoperto soltanto da adulto che quel rintocco di sillabe corrispondeva al francese «sans façon», «alla buona», «alla meglio», per dire: raffazzonato, senza un criterio.
C’è voglia di riforme nel nostro Paese, dopo anni in cui la propulsione alle riforme ha patito una stagnazione che colpiva via via l’elaborazione intellettuale, l’ingaggio di chi poteva orientare l’opinione pubblica, il ceto politico sempre più incline a minuscole beghe, le stesse classi produttive impelagate nella crisi economica e quindi svogliate o spente rispetto alla necessità di rigenerarsi, i cittadini che abdicavano al diritto-dovere della partecipazione. C’è voglia e anzi consapevolezza che senza riforme di matrice strutturale, soprattutto in alcuni settori, non si potrà più procedere: e parlo certamente dell’ambito della salute, sottoposto ad una pressione senza precedenti dall’aggressione della pandemia. In quell’ambito l’Italia era già indietro, quasi scontando una grave penalità, di qualche lustro o forse decennio. Rispetto a questa nuova consapevolezza, dunque, va registrato uno scatto in avanti, come una evoluzione della Storia, assunto insieme dai soggetti per così dire «decisori».
Uno dei mantra di questo afflato riformista è il tema della digitalizzazione, la sanità stagliandosi in prima fila. E qui, su un fronte decisivo per il Servizio Sanitario Nazionale, mi sembra nuovamente in agguato l’insidia, sempre presente e troppo spesso concretizzatasi nei nostri annali, del «sanfasò». Il rischio, cioè, di procedere a colpi di riforme scriteriate, a strappi o a sprazzi, mancando di una visione di sistema. Già nel pieno della tempesta da Covid si sono levate da più parti voci in favore della «telemedicina», indicata come panacea, rimedio formidabile e pressoché miracoloso per i mali che affliggono la salute degli italiani. Intendiamoci, è sicuramente positivo che l’emergenza COVID-19 abbia dato un impulso alla trasformazione digitale del nostro sistema sanitario; basti pensare che, come riporta il 15° Rapporto “Meridiano Sanità”, l’Istituto Superiore di Sanità ha registrato in due mesi di crisi pandemica 174 iniziative di telemedicina, a fronte di appena 350 progetti censiti nel periodo 2014-2017. Pertanto, e Io chiarisco per sventare la possibile iscrizione nel novero degli antimoderni, avanti tutta con la telemedicina, a patto di non incorrere nell’errore di confondere il mezzo (le tecnologie) con il fine (l’innovazione dei modelli assistenziali).
Troppo spesso si è infatti ragionato sulla digitalizzazione in sanità ponendo enfasi sugli elementi tecnici e tecnologici a scapito di aspetti altrettanto essenziali. L’evoluzione (anche) tecnologica dei percorsi di cura implica di agire in una logica multidimensionale sulla cultura, sulle competenze, sulle relazioni e sui processi organizzativo-gestionali dei diversi stakeholder del sistema. Solo così si potranno immaginare e tradurre operativamente modelli assistenziali nuovi, validamente sostenuti dall’uso diffuso e sistematico delle tecnologie. Sposo pertanto la linea di Roberto Bernabei, geriatra lucido e lungimirante, che, piuttosto che parlare di telemedicina, predilige il termine «tecnoassistenza». La tecnoassistenza è un progetto – ampiamente discusso, elaborato, preventivato – di assistenza sanitaria a domicilio che utilizza servizi tecnologici con l’obiettivo di favorire una migliore gestione degli anziani e dei soggetti non autosufficienti. L’implementazione dell’innovazione tecnologica è dunque un mezzo per riqualificare il sistema sanitario e dunque per riorganizzare la sanità territoriale: meno ospedale (facendovi ricorso con appropriatezza), più domicilio, più territorio, con la tecnologia che mette a sistema i tre poli in funzione sussidiaria al cittadino-utente. In poche parole, sarebbe insensato innestare una modalità ipertecnologica su un sistema imbolsito che ancora sovraffolla gli ospedali di pazienti i quali invece andrebbero deospedalizzati.
Per dare vita ad un modello di «sanità connessa» occorre dunque ragionare, insisto, in termini di riforma complessiva del sistema. Ciò porta inevitabilmente a galla le vicende irrisolte che da tempo denunciamo. Senza una regia nazionale unica che detti regole cogenti in materia, ad esempio, la tanto agognata interoperabilità dei dati resta un miraggio. Il percorso accidentato del Fascicolo Sanitario Elettronico, in questo senso, è paradigmatico. Analogamente il persistere di un’organizzazione «a silos» nel nostro sistema sanitario non favorisce certo l’adozione di tecnologie «dialoganti». C’è poi la questione del ruolo del privato: l’attivazione di partnership con gli erogatori privati, più flessibili e responsivi rispetto agli apparati pubblici alle sollecitazioni di un mercato in evoluzione e crescita impetuosa come quello della sanità digitale (37 miliardi nel 2021), potrebbe rappresentare la chiave per rendere fruibili ai pazienti tecnologie all’avanguardia nel quadro dei percorsi di cura territoriali. In quest’ottica è dunque importante che gli investimenti in innovazione tecnologica siano riconosciuti dalla committenza pubblica, sia a livello di requisiti per l’accreditamento, sia a livello di valorizzazione tariffaria.
Il nodo maggiore resta la volontà politica (e dunque strategica) di mettere mano a una profonda revisione delle modalità di erogazione della salute: è lì che attendiamo risposte inequivocabili dal legislatore, alcune delle quali sono già recentemente pervenute: sia sul lato dell’assistenza primaria, mi riferisco al comma 406 della Legge di Bilancio 2021, sia specificamente sul fronte della sanità digitale, con una serie di provvedimenti volti a dare riconoscimento alla telemedicina, affrancandola dall’alone di «sperimentalismo» di cui per troppo tempo è stata circondata.
Appare lampante quindi come il lavoro da fare sia ancora tanto. Acclariamo che davvero lo si voglia sbrigare e che lo si sbrighi nel modo più consono ad un Paese degno della nostra Storia.
Giuseppe Maria Milanese